giovedì 11 ottobre 2007

NOI BAMBINI, ANCORA NELLE FOGNE DI BUCAREST



La Romania è entrata a pieno titolo nell’Unione Europea eppure nelle fogne di Bucarest bambini senza nome sniffano colla e aspettano di essere venduti. Sono carne viva, inesistenti per l’anagrafe e per la società occidentale

La nostra guida all’inferno la incontriamo davanti alla stazione di Bucarest. Ha 15 anni, a 9 anni è scappato dall’orfanotrofio dove viveva, un grande agglomerato di edifici nella capitale rumena. Da tanto tempo, nemmeno lui ricorda da quanti anni, è un dei cinquemila abitanti delle fogne. Ma forse sono di più, ci hanno detto, e soprattutto sono per la maggior parte bambini di cui nessuno sa niente, non hanno nomi né documenti: all’inferno, in quell’inferno in cui ci apprestiamo a scendere, non esiste un’anagrafe.

La nostra guida un nome ce l’ha. Si chiama Mikel, ha il volto magro e gli abiti sporchi, sta seduto sui una panchina con altri uomini e ragazzini e una donna. Non fanno nulla. Non parlano, non si muovono, non aspettano nulla. Ci hanno detto che solo loro ci possono portare dove si nascondono e vivono gli aureolaci, i bambini che raccolgono l’elemosina ai semafori e sniffano la colla –aurolac- la marca rumena più economica – che distrugge polmoni e fegato, ma regala un attimo di stordimento e pazzia. Mikel si lascia avvicinare.

Come tanti qui, capisce qualche parola di italiano, nel nostro paese c’è stato di sicuro, conosce Prato, Verona, Vicenza, Viterbo: città che non si studiano a scuola e tanto meno si studiavano vent’anni fa nelle classi elementari del regime di Ceausescu. Lo capiremo presto, è uno dei tanti ragazzini comprati e venduti nell’orrenda tratta che dagli anni 80 attraversa i Balcani e porta nel nostro paese piccoli mendicanti, piccole prostitute, piccoli storpi. Qualcuno cresciuto nel terrore e nella miseria, è tornato in Romania. Ed è finito nel nuovo, personalissimo inferno che ora ha piena cittadinanza nell’Unione Europea.

Ci avevano detto che non esiste più, che è una leggenda metropolitana, che i bambini delle fogne sono scomparsi, che gli sniffatori di colla sono finiti: non è vero. Li abbiamo visti, abbiamo passato quattro orrende ore con loro. Ore eterne là sotto, Mikel e gli altri abitanti del paese sotterraneo ci vivono da sempre. Poche parole bastano a capirsi, pochi soldi sono il biglietto di ingresso. La porta che conduce alla “città dolente” sotterranea di Bucarest è proprio dietro un gigantesco centro commerciale, dove la gente va a fare spesa e a riempire i carrelli di tutto il ben di dio che può offrire l’ipermercato di una capitale europea. “Attenzione ai soldi, non fate vedere che avete il portafoglio, statemi vicini.” - dice Mikel, camminando attraverso cumuli di immondizia dall’odore rivoltante e intanto racconta la sua storia - “a nove anni me ne sono andato dall’orfanotrofio…non c’era nulla da mangiare, botte e basta…non so come sono arrivato in Italia… zingari forse… rubavo nelle case… ero piccolo e veloce… quante volte mi hanno preso e poi riconsegnato al mio padrone che diceva di essere mio padre… sono scappato… sono tornato qui dopo un anno, o forse due… con altri due ragazzi… c’era un pullman che partiva da Milano, mi hanno detto che andava a Bucarest, siamo saliti, ci siamo nascosti alle frontiere, poi qui alla stazione ho trovato altri ragazzi, ci siamo messi insieme… da allora viviamo qui… ecco stiamo arrivando.”. Non dice altro, non racconta altri orrori che si indovinano.

Giriamo davanti ad un casermone con tante finestre e appartamenti e tanti ragazzi che entrano ed escono. E’ la casa dello studente - ci spiega la nostra guida – alle spalle dell’edificio c’è una montagnetta con tante buche e tombini sollevati da dove ci caliamo per entrare nei sotterranei. L’ingresso ai condotti delle fogne dove scorrono anche i tubi dell’acqua calda che danno un po’ di calore negli inverni gelidi della città è nascosto da una sorta di inferriata, una grata di ferro che si ripiega verso l’alto: entriamo strisciando nella palta soffocando lo schifo di quale liquido molle e putrido. Accendiamo una torcia elettrica. E il fascio di luce illumina una donna con in braccio un bambino di due anni al massimo, più in là un altro piccolo gioca per terra e altri bambini ancora, ci sono due o tre ragazze più grandi, nel buio si vede male. Mikel ci fa da interprete. La donna è venuta dalle campagne. Il bambino è malato, cancro. Ha bisogno di seimila euro per farlo operare. Ne ha raccolti solo quattromila. Non sa cosa le accadrà ora. Le diamo l’indirizzo di una associazione di beneficenza che da poco si è installata a Bucarest, chissà?...

Più in là, dove l’oscurità è ancora più fitta e le pile faticano ad illuminare le pareti del condotto, ci sono coperte gettate per terra, qualche vestito, tracce di scatolette e cibo avanzato, qualche squittio che fa trasalire di orrore e ribrezzo. E poi la lama luminosa fa brillare tanti occhi e visi sporchi e senti un odore fortissimo di colla. Mi viene in mente quello che ho letto sui verbali della polizia: quando hanno scoperto a Verona una banda di schiavisti che costringeva i bambini a rubare, nelle intercettazioni dei trafficanti c’erano dialoghi agghiaccianti, chiedevano dall’Italia ai complici rumeni: “I poliziotti hanno preso altri bambini, mandateci nuova carne vie, dicevano, carne viva…”. E la carne viva la trovi qui.

Ce lo dicono tranquillamente: tanti di questi bambini non sono mai stati registrati all’anagrafe, non compaiono nei registri dell’assistenza sanitaria, delle scuole, del comune. Farli scomparire è facile, non sono mai esistiti.

Un odore ancora più acre ci annuncia la zona dove vivono gli aureolaci. Piccoli randagi dagli otto ai 15 anni che campano di elemosina e nascondono in sacchetti di plastica l’aurolac, ogni tanto ci affondano il viso per stordirsi. Cerco di parlare con loro, mi chiedo disperatamente cosa può convincere un bambino così che per lui c’è una possibilità , una speranza, un futuro, qualcosa insomma di più degno.

Qualcosa che abbia la dignità che spetta ad un essere umano, ad un piccolo bambino spaventato e incattivito. Qualcosa che non sembri una presa in giro, qualcosa che io possa dire, io giornalista italiano gonfio di euro e che stasera – spero – tornerà nel suo albergo con bagno, doccia e piscina e cenerà al ristorante e respingerà imbarazzato l’offerta del portiere di notte che propone una ragazza, una ragazza che potrebbe essere la sorella del piccolo che ho di fronte. Perché per la maggior parte di questi piccoli l’alternativa all’elemosina, alle fogne e all’aurolac è la prostituzione. I concittadini europei sono buoni clienti, dicono.

“Cosa me ne frega di vivere.” – dice un ragazzo – “I miei genitori non li conosco, non ho casa, non andrò a scuola, vivo nelle fogne d’inverno perché qui fa caldo, d’estate fa più fresco al parco ma qui nei sotterranei è più sicuro. Ho solo paura di quelli che rapiscono i bambini. Dicono che qualcuno sia stato trovato morto, privo di organi…”.

E’ l’ultima storia che circola qui, nelle fogne: non ci sono conferme da parte della polizia. Speriamo sia solo una leggenda… speriamo.

Certo il traffico c’è: la “carne vie” costa poco e rende tanto. Quelli che valgono di più sono gli handicappati, i bambini abili a rubare e le prostitute minorenni. Basta guardarsi in giro, per le strade di Milano e Roma. Gli handicappati stanno invadendo il mercato: non si sa perché – a parte un orrendo sospetto – abbiano mutilazioni tutte uguali, ginocchia rovesciate che li costringono a camminare come cani. A Roma, in via del Corso avevamo incontrato il ragazzo-cane, ormai lo chiamavano tutti così per via di quella sua impressionante andatura a quattro zampe provocata dalle ginocchia malformate e piegate all’indietro, come un cane appunto.

Nei condotti dell’inferno incontro Julian, è cresciuto in orfanotrofio con il ragazzo cane che gira per le strade di Roma. Lo conosce bene.

“Noi lo chiamavamo l’uomo ragno, l’unico fumetto che arrivava in istituto. Me lo ricordo quel supereroe sempre appoggiato alle mani e con le ginocchia allargate.” - ci racconta spiegando il beffardo quanto crudele nomignolo - “Quando avevamo dieci anni ci hanno buttato fuori dall’orfanotrofio. Abbiamo vissuto insieme per strada per dodici anni. Poi è scomparso.”. Ho un dischetto nella piccola telecamera che documenta il nostro viaggio, ci sono le immagini del suo amico a Roma, lo riconosce subito, gli racconto dove l’ho visto. Come c’è arrivato? Julien mi ride in faccia: “Stupido italiano, sono domande che non si fanno.”.

Mikel ora è nervoso, la telecamera ha acceso gli sguardi, i ragazzini delle fogne hanno capito che certamente abbiamo addosso soldi e merce che si può vendere facilmente, “Andiamo” dice – “ma prima dovete darmi altri soldi.”. Non discutiamo, dai cunicoli soli non si esce.

All’uscita, vicino alla stazione della m,metropolitana, ci saluta Claudia, undici anni. Un italiano perfetto, anche lei ci racconta di Viterbo, Prato, Ancona, Bergamo, Brescia: città italiane che pare strano siano familiari ad una bimbetta rumena. Dice che non ha i genitori, che vive in una casa sociale. E allora, com’è andata in Italia, e con chi?

Glielo chiediamo: lei cambia espressione, mette il broncio “vai via, vai via…”. E parla solo in Rumeno, di colpo non capisce. Se ne va con un gruppo di altri ragazzini. Si passano un sacchetto pieno di orrenda colla dal sapore nauseabondo. Annusano, barcollano storditi.

Quanti sono? Nessuno lo sa. Non esistono. Sono anonimi cittadini europei. I parametri di Maastricht non li contemplano. Ma ci sono. Fantasmi terribilmente reali. Carne vie.

Giancarlo Giojelli da "Italia Domani", luglio-agosto 2007

Nessun commento: